Ultra trail

DOPO IL PRIMO ARTICOLO DI MICHELE TASSELLI, INSERIAMO IL RACCONTO DI TONY DE MARIA CHE SI E’ CIMENTATO CON LA 90 KM. DEL LAVAREDO. IL SEME COMINCIA A DARE LE PRIME FOGLIOLINE…

Un’altra sfida, la più bella.

Cuore, motivazione, orgoglio, testa e anche un po’ di gambe….. e naturalmente una buona dose di follia.

E’ così che decido di partecipare e di concludere una gara denominata “ultratrail”.

La location  e l’ambientazione non mi lasciano dubbi, sarà una magnifica occasione di vivere un evento memorabile: Auronzo di Cadore ( poco sotto le Tre Cime di Lavaredo ), partenza della gara ore 24,00, luna piena; che al 25 di giugno avrà buone probabilità di risplendere ed illuminare quel palcoscenico meraviglioso delle Dolomiti. Decido: ci sarò. Poi leggo che saranno 90 km, con 5000 metri di dislivello positivo, cioè 5000 metri di altitudine in salita ed altrettanti in discesa. In realtà non so cosa vuol dire ancora, poi faccio due calcoli: 2+2 ….  x un bel po’ di volte….  e sono iscritto….  che già è un’impresa, visto che le iscrizioni andranno bruciate in poco più di 24 ore.

Inizia così la ricerca, l’informazione per conoscere e programmare le varie cose: allenamento specifico, attrezzatura, abbigliamento ecc. Quindi, prima internet, mi abbono ad una rivista specializzata ( Spirito Trail ), poi la conoscenza con Michele Tasselli, pioniere nella polisportiva Portasaragozza per ciò che concerne i trail, al quale va il mio miglior ringraziamento per i consigli e le scorciatoie per i preparativi.

L’allenamento? Chi mi conosce sa che do’ sempre il massimo, lo faccio in tutte le cose, per cui mi rimane poco tempo da dedicare all’allenamento, e così preparerò una 90 km correndo solo la Domenica, qualche volta per quasi tutta la giornata. Giusto o sbagliato? Il mio obiettivo da subito era che volevo divertirmi e non andare in sofferenza. Così come per magia riesco nell’intento: mi alleno veramente pochino, mi diverto, concludo divertendomi la gara.

La mattina del 25 giugno mi sveglio molto prima del suono della sveglia, la voglia di partire è tanta e alle 15 in punto, orario di apertura per il ritiro del pettorale, mi trovo in fila come la maggior degli iscritti; tenterò poi di dormire, con insuccesso, ed alle 24,00 mi trovo a partire con poche ore di riposo dal giorno prima. ( di fatto alla fine di tutto, compreso la notte successiva all’arrivo, avrò dormito 7/8 ore in tre notti ).

La gara. Ho già in mente la mia strategia: cammino in salita, corro in pari, mi fiondo in discesa come una lepre, come faccio di solito … e se riesco faccio una bella gara; obiettivo finire in 17 ore circa. Ma, se non dovessi avere le carte in regola, posso permettermi di metterci tutto il tempo che voglio, entro i tempi limite; casomai mi godo la montagna.

Partiti. Mezzo km e già mi fermo per scoprirmi, poi per allacciare una scarpa. Vedo tanti concorrenti andare anche troppo velocemente, io voglio gestire, voglio arrivare, da questo momento decido di volere arrivare. In realtà inizia la salita e sono tra i pochi che corre.

Spettacolo. L’incitamento della folla: “ bravi”, “siete tutti matti”, il gruppo dei trailers, la luna piena e le poche nuvole che rendono il contrasto di luce riflessa e di semiombre, assieme alle montagne, un’ambientazione straordinaria. Se non fossi qua per correre, vorrei essere qua lo stesso. Una delle immagini più belle: sopra e sotto, davanti e dietro  me, le centinaia di lucine lungo il sentiero, tante lucciole impazzite che ballano nel buio della notte; rimarrà impressa non solo al sottoscritto. Poi la penombra dell’alba, boschi incantati, ruscelli impetuosi dall’acqua gelida, maestose vette; cartoline stampate nella mente. L’incoraggiamento di ogni persona che incontro, della natura, dei compagni di viaggio che cambiano ad ogni piccola tappa. La magnificenza dei ristori dove trovi di tutto: colazione parmigiano e red bull e c’è chi ha fatto il pieno di birra. La cordialità degli organizzatori e la loro disponibilità.

Fatica. Due ore e 15 minuti di corsa quasi tutta in salita, poi inizia un sentiero impervio e stretto, dove è quasi impossibile superare chi ti sta davanti, e si cammina di gran passo, ancora un’ora ed è ora di fare passare chi è dietro, mi sa che è meglio gestire, voglio arrivare. Inizia a fare freddo, la temperatura ( siamo vicini a quota 2500 s.l.m.) obbliga a coprirsi bene: giacca a vento, guanti. Poi il primo ristoro dopo circa tre ore e mezza, la discesa al buio, con la luce della mia lampada frontale, corro sempre più veloce, come piace a me in discesa, mi diverto, sono un folle, rischio veramente tanto. Sono costretto a rallentare sento i muscoli delle cosce che iniziano ad indurire, non voglio mica che mi vengano i crampi, devo gestire, voglio arrivare, mancano ancora oltre 70 km. Discesa folle. A confronto le orfanelle ( parlo della strada che scende da San Luca, per chi non fosse bolognese) sono una passeggiata ai giardini Margherita. Non finisce mai, tecnica, infida, pericolosa, mi ha fatto divertire ma alla fine, gli ultimi km, l’ho odiata. Meglio la salita, tra l’altro ti gusti il panorama. Sono arrivato, non concludo gli ultimi metri col passo del giaguaro come pensavo di fare, la goliardia non è il sentimento principe di quel momento, lo sono soddisfazione e fatica.

Alimentazione. In circa 24 ore, considerando il pre e dopo-gara, ho consumato cinque piatti di pasta, 8/10 panini, parmigiano e crostate a go-go, frutta, frutta secca come se piovesse, barrette energetiche, gel, 6 litri d’acqua, the, coca-cola, birra, red bull a tutto spiano; quindi non sono dimagrito nemmeno un chilo. Memorabili i due panini allo speck accompagnati da una pinta di Paulaner, al rifugio Chiggiato ( se non ricordo male), 30 minuti di puro godimento al sole a 2000 metri, mentre tanti concorrenti sfrecciavano avanti, ho pensato: sono in montagna!

Conclusione. Non credo che ripeterò un’impresa del genere, mi dico verso la fine della gara e dopo l’arrivo. Usufruisco del servizio massaggiatori, devo stringere i denti per non urlare di dolore  quando il tipo mi stringe polpacci e cosce. Lascio Auronzo alle prime luci dell’alba, dopo aver dormito pochissimo il viaggio in macchina, per il ritorno a casa, è già una nuova sfida.

E penso: no la voglio fare ancora … dovrò gestire ma voglio arrivare.

TONY DE MARIA

 

GRAN CANARIA

 

Fin qui tutto bene.

Le sette del mattino sono passate da cinque minuti, il sole comincia a pennellare di rosso un cielo rigato da qualche nuvola, mentre nella valle un gallo risponde all’abbaiare dei cani.

Lungo tutta la notte la luce pallida della luna ha disegnato la sagoma di un paesaggio duro e spigoloso, con pareti di roccia altissime e pochi alberi, qualche luce spruzzata a casaccio nelle vallate e l’ordine precario dei muretti a secco, ma solo ora, con il primo sole, mi rendo conto del meraviglioso palco che stiamo calcando, io e tutti gli altri partecipanti: ombre curve sui sentieri di questa isola in mezzo all’Oceano Atlantico, lontanissimi da casa, e per molti versi lontanissimi dalla realtà.

Fin qui tutto bene.

Isola di Gran Canaria, 6 marzo 2010.

Per tutta la vita ricorderò questa data e questa notte: il mio Trail da  93 Km, 15 ore e 42 minuti.

Il Trail Running sta diventando in Italia un vero fenomeno in crescita tra gli amanti della corsa, che in numero sempre maggiore scelgono di abbandonare l’asfalto, per aggredire i sentieri sterrati di boschi e vallate.

Se da un lato è facilmente comprensibile che si provi molto più piacere a correre in natura, piuttosto che lungo le piste ciclabili a margine dei nostri trafficatissimi e puzzolenti viali cittadini, dall’altro lato risulta più complesso esprimere cosa spinga una persona adulta, apparentemente in possesso della propria ragione, ad ipotecare il proprio fine settimana, caricarsi sulla schiena fino a 3 Kg di attrezzatura e nel cuore della notte, con altri mille partecipanti, correre in mezzo a non ben definite montagne, per distanze anche oltre 100 Km con dislivelli positivi di migliaia di metri.

Cosa ci spinge?

Cominciamo facendo un po’ di ordine nelle definizioni.: Trail Running, Ecomaratone, Ultra Trail.

Con Trail Running si indica generalmente una competizione in natura superiore a 20 Km su sentieri sterrati, caratterizzata da ostacoli naturali quali pietraie, vegetazione, guadi di torrenti, e con un significativo dislivello positivo/negativo. Non esiste una distanza definita.

Le Ecomaratone, fenomeno prevalentemente italiano, sono competizioni di Trail Running, che si sviluppano sulla classica distanza della maratona (con una tolleranza di circa il 3%), ma con tutte le caratteristiche dell’off-road.

Gli Ultra Trail sono competizioni di Trail Running su distanze superiori a 60-70 Km, che per distanze elevate (negli USA il Bruce Trail si svolge su 800 Km) possono durare ininterrottamente per più giorni.

In tutte e tre le categorie si corre con una lista di materiale obbligatorio che comprende solitamente acqua, cibo, indumenti per la protezione dal freddo, fischietto, ecc, e solitamente il percorso non può avere mai più del 10% di asfalto.

Nonostante si corra in semi-autosufficienza, sono previsti i ristori come nelle maratone tradizionali, mentre la segnalazione del chilometraggio è presente quasi esclusivamente nelle Ecomaratone, e sono solitamente previsti dei “cancelli cronometrici” da attraversare entro un tempo limite, pena la squalifica dalla gara.

I regolamenti di queste gare sono generalmente molto simili, tuttavia ad oggi non esiste un organismo unico internazionale che definisca regole uniformi, data la eterogeneità delle caratteristiche delle varie manifestazioni.

In Italia sta nascendo un circuito di Ecomaratone (www.ecomaratoneditalia.it), coordinato da un comitato composto dai rappresentanti delle gare che decidono di aderirvi spontaneamente, nato con lo scopo di definire delle regole uniformi, il cui lato più in linea con lo spirito di questo sport è quello etico legato al rispetto e promozione del territorio, della cultura rurale e dei prodotti tipici.

Trail ed Ultra Trail convivono solitamente nella medesima competizione, come percorsi di differente lunghezza, ed anche per queste si sta sviluppando spontaneamente una sorta di circuito internazionale che collega le più prestigiose manifestazioni.

In Italia l’associazione di riferimento è la IUTA, Italian Ultramarathon and Trail Association (www.iutaitalia.it).

L’Ultra Trail del Mont Blanc (166 Km, 9400 metri di dislivello positivo, www.ultratrailmb.com/) è unanimemente considerato uno dei Trail più ambiti al mondo, come la maratona di New York lo è per le maratone, e grazie alla sua notorietà, capacità organizzativa dello staff, e coinvolgimento dei media specialistici e sponsor internazionali, ha definito una sorta di standard che gli permettono oggi di assurgere alla funzione di modello per altre manifestazioni.

Per partecipare a tale gara è necessario che il corridore abbia un punteggio minimo, raccolto partecipando e terminando altre gare accreditatesi presso l’UTMB, in tale modo queste gare esprimono gli stessi standard di qualità, organizzazione, e sicurezza.

Non tutte le gare danno il medesimo punteggio, il quale varia a seconda delle caratteristiche di lunghezza e dislivello del percorso, permettendo in tale modo di classificare le competizioni in termini di difficoltà.

A titolo di esempio la Trans Gran Canaria sur-norte , una 92 Km con 3200 m di dislivello positivo (la somma del dislivello di tutte le salite) assegna 2 punti UTMB, mentre il Grand Trail Valdigne, 87 Km con 5100 m di dislivello positivo ne assegna 3 punti UTMB.

Questo meccanismo non vale solamente per l’UTMB, ma anche per altre competizioni di pari prestigio: la Cro-Magnon, la Diagonale des Foux, ed altre.

L’aspetto organizzativo di tali gare è assolutamente fondamentale: trovarsi nel cuore della notte a 2000 metri, dopo aver corso per 8 ore ed avere l’impossibilità di proseguire a causa di un qualunque problema, potrebbe non essere il sabato sera alternativo che avevate pensato, per questo un’organizzazione in grado di reagire in tempi brevi diventa vitale.

In anni recenti si sono purtroppo verificati incidenti gravi a carico di alcuni runners, anche se, andando a fondo sull’accaduto, si scopre sempre che aver sopravvalutato le proprie capacità è la colpa unica e più grave. L’organizzazione ha avuto qualche responsabilità? Non so dirlo, tuttavia se il percorso fosse stato meglio presidiato, il margine di rischio sarebbe stato sicuramente ridotto.

Un percorso mal segnalato, la non tempestività a sospendere la gara in caso di improvviso maltempo, o un sistema di soccorso non adeguatamente organizzato, sono elementi che possono dar luogo a spiacevoli situazioni.

Una cosa che a volte dimentichiamo, e che a parer mio è la motivazione principale che ci spinge a correre, è che corriamo per divertimento.

La corsa è gioia e libertà.

Qualche riga più in alto mi sono chiesto: che cosa ci spinge ad affrontare gare di questo tipo?

Nasco come maratoneta senza pretese, ho un tempo personale dignitoso ma alla portata di chiunque, 3 ore e 48, e nella mezza maratona ho pietrificato da anni un altrettanto degno tempo di 1 ora e 43.

Per anni ho inseguito il tempo, faticando sudore amaro nel tentativo di abbattere qualche minuto, correndo maratone che si svolgevano per parte del percorso nelle periferie cittadine, lungo strade anonime e grigie.

Ho sentito il bisogno di cambiare.

Ho partecipato a  competizioni alternative, come la maratona notturna di Jesolo, o la maratona di S. Antonio, che si corre prevalentemente in campagna, ma alla fine la grande fatica che facevo per abbassare il mio tempo non era mai ripagata dal percorso, perché alla fine quello che ho capito è che a me interessava più il percorso del tempo che impiegavo a percorrerlo, e quindi feci la svolta.

Partecipare alla Monza-Resegone, una gara storica arrivata alla 50° edizione e per certi versi ibrida tra maratona e Trail, mi fece comprendere che era arrivato il momento di lasciare l’asfalto: 42 Km in notturna che si svolgono per 30 Km circa su asfalto e per i restanti su un sentiero degno di uno stambecco, arrampicandosi con le mani nel buio dei boschi, per giungere a 1200 m alla capanna degli Alpinisti Monzesi.

La mutazione era compiuta.

Correre in mezzo alla natura, immersi nell’ordine caotico di boschi, valli e montagne: ecco cos’è lo spirito e la magia del Trail Running.

Chiaramente oltre all’aspetto bucolico e trasognato, c’è poi tutta la parte tecnica, che è molto più importante che in una maratona, poiché in un Trail nulla si può lasciare al caso, né nella preparazione, né durante la gara, né tanto meno nel post gara.

La preparazione di un Trail di media lunghezza, diciamo intorno a 40 Km, non differisce molto dalla preparazione di una maratona.

La scheda di allenamento è composta nel medesimo modo, salvo per alcuni aspetti peculiari: il ritmo, le salite, ed il lungo.

Il ritmo che si tiene durante una gara di Trail è molto diverso da una gara su strada, poiché le salite impongono una gestione delle riserve energetiche molto attento, che si realizza inevitabilmente camminando. Leggendo questa frase molti puristi della maratona storceranno di certo il naso, però nei Trail camminare è fondamentale, anche perché sulle salite più lunghe e difficili, un passo veloce e costante rende molto di più di correre. In allenamento diventa quindi essenziale allenare l’alternanza del ritmo di corsa, ottenendo medie sul percorso a cui spesso non siamo abituati, e talvolta, soprattutto all’inizio, sembra realmente di star fermi!

Anche le salite vanno allenate: le ripetute in salita sui 100 metri e percorsi di allenamento con salite continue di 10 Km o più, sono strategiche.

Il lungo ha poi la funzione, come per la maratona, di fare un sunto di tutti gli allenamenti settimanali, tuttavia nel Trail va svolto su sterrati con profilo ondulato e terreno disconnesso, in modo da abituarsi a gestire le risorse e soprattutto per rafforzare caviglie, ginocchia, ecc.

Ottima risorsa, per tale scopo, sono i numerosissimi sentieri del CAI, che percorrono il nostro fantastico Appennino.

Il post gara, sempre rispetto ad una maratona su strada, richiede un attento recupero, poiché lo stress a cui il fisico è sottoposto è molto maggiore.

Caviglie, ginocchia, quadricipiti, glutei, polpacci, tutto il fisico è sottoposto allo stress di correre sulle discese, su terreno disconnesso, spesso scivoloso, e su salite che possono essere ripide ed interminabili. Il rispetto del riposo e la programmazione del proprio calendario gare fanno la differenza.

L’alimentazione pre e durante la gara sono forse il segreto più importante per affrontare i Trail.

Nelle gare più lunghe, anche con una preparazione fisica corretta, sbagliare l’alimentazione o non rispettare i tempi per rifocillarsi ed idratarsi, può costringere ad un ritiro o a lunghe pause forzate per attendere che il fisico si riprenda da un calo energetico.

Personalmente studio con molta attenzione il percorso, e definisco preventivamente tutta la strategia di alimentazione: cosa mangiare, in che punto, ogni quanto tempo.

Ho ormai imparato quanta acqua consumo, e quindi riesco a gestire bene le mie riserve idriche in modo da non caricare troppo peso tra due ristori (negli Ultra Trail possono distare anche più di 20 Km), e so ad esempio che devo assumere una busta di maltodestrine gel ogni ora e mezzo, e comunque per ogni evenienza ho sempre pronta qualche zolletta di zucchero di canna, o una busta di gel in più.

Vi è poi l’attrezzatura tecnica, che se in una maratona si limita a scarpe, maglietta e pantaloncini, nei Trail ed ancor più negli Ultra Trail, è un po’ più complessa e soprattutto voluminosa e pesante.

Zainetto con tasca per l’acqua, cintura porta borracce, bastoncini telescopici, guanti, ecc, si declinano in infinite varianti di materiali, fattezze e, soprattutto, pesi.

Il peso dell’attrezzatura è uno dei problemi da affrontare ogni gara, poiché ogni tracciato richiede un’attrezzatura diversa, e l’importante è ridurla al minimo indispensabile, affinché contenga tutto con il minor peso possibile: modularità, questo è il segreto!

Il baule del Trailer è sempre quindi ricolmo di gadget di ogni tipo, in modo da creare la giusta combinazione.

Un esempio sono gli infiniti sistemi per trasportare l’acqua: lo zaino con tasca è il sistema più diffuso, conosciuto e declinato in forme e dimensioni, ma la tasca per l’acqua si trova anche incorporata in magliette tecniche, esistono poi i porta borracce lombari, singoli, doppi, con e senza tasche per riporre altro materiale, esistono anche quelli incorporabili sullo spallaccio dello zaino o indossabili sulla mano tipo un guanto.

La scelta è imbarazzante, e solo testandoli sul campo si riesce a decidere ciò che più è adatto a noi.

Regola principe: mai affrontare una gara con materiale nuovo, se non si vogliono sorprese!

Un’accurata preparazione, l’esperienza di qualche anno di maratona, e soprattutto imparare ad ascoltare il nostro corpo, sono le basi per iniziare a godere della magia dei Trail, che sono sicuramente competizioni dure ed impegnative, ma che regalano emozioni uniche e ricordi indelebili.

I Trail sono competizioni dove la misura del tempo perde significato, e dove capita, dopo 10 ore di corsa, una vetta di 2000 metri scavalcata e 60 Km percorsi, di guardare avanti con un sorriso perché ormai mancano solo 35 Km all’arrivo e si vede già il mare.

George Herbert Leigh Mallory era un alpinista che partecipò alle prime tre spedizioni inglesi per la conquista della vetta più ambita al mondo, scomparendo nell’ultima di queste (9 giugno 1924), in una intervista in cui gli fu chiesto perché si accanisse tanto a scalare l’Everest rispose sorridendo:

“ Perché è lì “.