Racconti Passatore 2015

Concedersi il lusso di stare 100km da soli con se stessi

Nella presentazione dell’album Anime Salve composto insieme a Ivano Fossati, Fabrizio De Andrè descrive il significato del titolo dell’album partendo dall’etimologia delle parole che lo compongono, “anime solitarie”.
È un elogio alla solitudine il suo, e dice bene quando parla del fatto che la solitudine è un lusso che non tutti si possono permettere. Aggiunge anche che stando da soli si ha una migliore percezione di ciò che è il circostante, si affrontano e si individuano meglio i problemi e non è raro raggiungere migliori soluzioni.
Condivido il pensiero di De Andrè, umanamente profondo ed è sicuramente da una profonda necessità di solitudine e di riflessione con me stesso che ho iniziato a correre e a allenarmi per la 100km del Passatore.
È stata un’esigenza nata spontaneamente, da qualche recesso del cuore, una voglia di riscatto probabilmente, nutrita anche dalla rabbia, non lo nascondo, dovuta a alcuni aspetti che trovavo e che trovo difficili da accettare della mia vita.
Ognuno ha le sue motivazioni, i suoi demoni, i suoi pensieri, le sue delusioni a alimentare le proprie gambe, forse mentre si corre si immagina una realtà differente, si vive in una sorta di meditazione intorno a se stessi e che coinvolge anche le persone che fanno parte della propria vita.
Il circostante appunto appare sotto altre vesti, più incline a soddisfare i nostri desideri a volte, in altri casi con sfumature più nefaste e giudizi più severi per ciò che ci riguarda.
E questa solitudine diventa un fabbisogno quotidiano, un fabbisogno per lo spirito, un respiro del quale la corsa si alimenta e una strada che la mente percorre più e più volte riproponendosi attraverso nuovi e antichi pensieri. In una lingua di asfalto, nella sera dopo il lavoro che spesso è la vetrina attraverso cui ci si mostra alla fatica, si mangiano chilometri e pensieri senza nessun disturbo, procedendo in una continua discussione con se stessi.
E a volte in noi stessi troviamo l’interlocutore più difficile da ascoltare.
Mi sono concesso il lusso di stare da solo con me stesso per 100km, abbracciando con forza la fatica, la solitudine e tutti i suoi pensieri, tutti i suoi ragionamenti, tutte le sue fantasie.
Prosegue il percorso, mentre si credeva impossibile realizzarsi in una tale distanza, con numerose difficoltà e ostacoli, ci si ritrova già un passo più avanti rispetto a quello che si credeva possibile poter realizzare.
Scoprire di essere la sorpresa per se stessi e di se stessi è uno degli aspetti che più mi affascina della corsa e che più si è manifestato nel Passatore.
Sentirsi lo strumento di realizzazione della propria forza di volontà, una completa sintonia con essa, a dimostrazione che se si vuole, se davvero si desidera, allora si può fare, allora ci si riesce.
Non sono arrivato impreparato, nonostante mi mettessi per la prima volta alla prova su questa distanza.
Questo posso dirlo solo dopo essere riuscito a portare a termine la gara, prima non ne ero molto convinto e credo sia normale non ritenersi sufficientemente preparati per correre 100km.
Mi sono allenato molto, alternando con continuità e costanza la corsa, la palestra e la piscina; con pazienza, umiltà e spirito di sacrificio.
Per più di un anno ho pensato ogni giorno all’obiettivo che mi ero prefissato, il traguardo della Firenze – Faenza, e l’obiettivo stesso mi dava la forza di uscire a allenarmi quando non ne avevo assolutamente voglia, di alzarmi presto la domenica mattina per partecipare alle gare in previsione del “vero” arrivo, di sopportare anche aspetti non legati alla corsa, lasciandoli passare e rifugiandomi poi nel mio tentativo, nella personale costruzione della “mia” centochilometri.
In tutto questo percorso di avvicinamento al Passatore ho imparato a conoscermi, a sentirmi, a capire quali fossero i miei limiti, a accettarli senza soffrirne, rispettandoli e mettendomi nella condizione di imparare non solo da me stesso, ma anche dagli altri, ascoltando i consigli dei podisti più esperti e di chi aveva affrontato questa gara numerose volte senza problemi e anche con qualche decina d’anni in più di me sulle spalle.
Sono sicuramente cambiato, ho maturato una visione del mondo differente rispetto a prima, una Weltanschauung più approfondita, arricchita da altre e preziose sensazioni.
Ho detto qualche “no” che non ero abituato a dire, forse, o anche senza il forse, mi sono un po’ allontanato dalla quotidianità precedente, cambiandola, trasformandola in qualcosa di diverso e, a mio avviso, più utile e appagante.
La preparazione per il Passatore è sicuramente stata educativa, un’esperienza importante e che come tutte le esperienze che segnano (e insegnano) passa attraverso la sofferenza, il dolore, la fatica, la disciplina e l’apprendimento.
Si cerca di non lasciare nulla al caso, e così facendo, con l’ausilio sempre ben accetto di quel po’ di fortuna che spesso viene in soccorso degli audaci, ma mai dei prepotenti, si ottengono buoni risultati. E i frutti migliori sono pronti per essere raccolti da chi bene ha seminato.
Conserverò per sempre un ricordo bellissimo di questa corsa, non dimenticherò la notte che avvolgendosi rapidamente tutta intorno accompagnava i miei passi nella discesa dal passo della Colla verso Marradi, offrendomi una luna quasi piena, silenzi interrotti dallo scorrere dell’acqua dei torrenti e dai versi degli animali notturni, le luci intermittenti delle lucciole ai bordi della strada e gambe leggere da farmi sentire solo il mio respiro, come se non stessi calpestando nulla, nessun terreno, nessuna strada; come se fosse l’unica cosa che potessi percepire.
In quel preciso momento ho pensato che fosse bello essere lì, che fosse giusto fare parte di quell’istante, che fosse doveroso ringraziare per riuscire a provare quelle emozioni.

Loris Berardi

 

Pensavo fossero più corti 100km…

 

 

 

Perché decidere di affrontare una sfida podistica di 100km? Perché la vita credo debba essere un insieme di esperienze ed emozioni, anche nella corsa; quindi, è sempre stimolante cercare nuovi obiettivi per mettersi alla prova e sentirsi vivo.

 

Perché scegliere come 100km proprio “Il Passatore”? Perché ha un percorso affascinante che si snoda tra le colline tosco/emiliane, perché è una corsa ricca di storia, tradizione e leggende (a partire dal personaggio da cui prende il nome), perché è la “maratona di New York” delle ultra: tutti sanno cos’è!

 

Premesso questo, è doverosa una precisazione, perché nella realtà dei fatti sono stato trascinato in quest’avventura da un compagno di corsa, ma che soprattutto è un amico di una vita, che ha dovuto insistere non poco per farmi partecipare. Non lo ringrazierò mai abbastanza, ma non glielo dirò mai, altrimenti mi sfotte a qui all’eternità…

 

In questa brevissima raccolta di pensieri, proverò a non scrivere nulla di tempi, medie al km, alimentazione, strategie di corsa, perché, seppur prestando la necessaria attenzione a questi elementi, non sono stati i cardini dello spirito con cui ho affrontato Il Passatore. L’obiettivo era partecipare, divertirmi, vivere le emozioni di una “100” e, se possibile, arrivare a Faenza sano e salvo!

 

Quindi, iniziamo da prima della partenza, dove il fatto che lo start sia alle 15 è già di per se una bella novità, perché la maggior parte di noi podisti è abituata a correre o alla mattina o alla sera. Dopo il classico ritiro pettorali ed un pranzo da far drizzare i capelli ai podisti seri (siamo a Firenze, non posso mica mangiare del riso in bianco, giusto?), ti aggiri per la città e la vedi invasa da podisti che gironzolano per le vie del centro, scattano foto sotto l’arco di partenza (sarà forse perché è l’unica certezza di cui al momento si dispone…?), si cambiano nei luoghi più impensati tanto Firenze ci sta regalando uno splendido pomeriggio di sole, preparano le borse per le tappe intermedie discutendo su come riempirle.

 

L’aria è elettrica e lo si avverte, perché lo sparo della partenza si avvicina a la paura sale; almeno sicuramente la mia, perché si, lo confesso, da quando ci siamo messi in zona partenza ho iniziato ad avere paura; paura di dover affrontare qualcosa forse più grande di me e di non sapere come affrontarla.

 

Sarà poi che fatte le debite proporzioni, la partenza del Passatore è come la partenza della camminata di Lovoleto, la paura passa subito e lascia spazio alle belle sensazioni per essere parte di un evento importante, di un’impresa da compiere e quindi inizi a guardare il paesaggio attorno a te, a vedere “la fauna” podistica piena di personaggi stravaganti, chi più caciarone e carico, chi talmente fuori luogo da sembrare provenire da Marte ed anche qualche volto noto del circuito delle domeniche mattina bolognesi capace di farti sentire quasi a casa.

 

In questa carrellata, particolare gioia ha trasmesso incontrare e superare un anziano signore, non so se fosse l’ultra decano delle partecipazioni Walter Fagnani, che camminando verso la salita di Fiesole ha raccolto tanti applausi quanti Re Giorgio Calcaterra alla partenza, ricambiandoli con sorrisi ed un “…eh, alla vostra età…” : spettacolo.

 

Superato Fiesole si prosegue verso Borgo San Lorenzo ed è tutto un serpentone di podisti, biciclette ed auto. So bene che probabilmente la questione degli aiuti ed assistenze ai corridoi fa parte del gioco del Passatore e che forse anche per questo motivo vanta un numero di partenti stratosferico considerato la distanza, ma confesso che in alcuni momenti questa cosa mi ha un po’ innervosito perché devi stare attento ad un sacco di auto che si incrociano nelle strette vie che percorriamo ed a volte sei costretto a fermati; poi se due biciclette non mi fossero venute addosso sarebbe stato meglio. Vabbè, andiamo di lungo.

 

Tra Borgo San Lorenzo ed il passo della Colla di Casaglia l’atmosfera è una curiosa alchimia tra una tappa del Tour de France con tanta gente ai bordi della strada ad incitarti verso il Gran Premio della Montagna che trasmette un’incredibile adrenalina ed una gigantesca sagra paesana con camper, gruppi di persone accampate ed organizzate con tavolini, barbecue (mannaggia a loro…) ed ogni altro strumento per seguire dal vivo l’incedere dei podisti.

 

In questo lungo tratto di falsipiani e salita compreso all’incirca tra il km28 ed il km48 iniziano i primi atroci pensieri su come interpretare la corsa perché la salita è, o meglio sarebbe, regolare e corribile, ma poi una volta raggiunta la quota massima non sei nemmeno a meta! Vabbè, la prendo comoda, cammino e corricchio, tanto la fretta non è un articolo che oggi ho portato con me, cosi mi godo il bellissimo paesaggio collinare attorno a me prima che il sole lasci spazio alla luna. L’arrivo in cima è bellissimo perché senti di aver raggiunto il primo traguardo intermedio. Non sarò stato certo un precursore, ma si, nella mia mente ho suddiviso i 100km in 3 sostanziali “sotto traguardi” per stimolarmi, per affrontare meglio il lungo percorso, per avere qualche piccolo “hurrà” prima della sperata gioia finale.

 

Ora che ho corso (più o meno corso) una distanza superiore ad una maratona, penso che ne mancano ancora 52 di km ed il sorriso dell’arrivo in cima si fa meno ampio e qualche preoccupazione inizia a fare capolino, anche se tutto sommato per il ritmo tenuto fino ad ora non mi sento particolarmente provato. Per fortuna che ora inizia la discesa fino a Marradi e qui tutti i Santi aiutano anche se poi è vero che è bene non farsi aiutare troppo per non rischiare di esagerare.

 

Qui alla Colla avevo previsto l’unico trasporto indumenti e generi di prima necessità di tutto il percorso (con il senno di poi si è rivelata una buona scelta) così, prima della discesa, mi cambio completamente dalla testa ai piedi anche perché inizia a fare freschino oltre che buio e mi riposo 10/15min. Sono nuovo! Pronti, partenza e via per la seconda corsa nella corsa!

 

La discesa procede bene, sempre con calma, devi solo stare leggermente attento a farti vedere dalle auto, ma tutto sotto controllo. C’è una bella luna, non poteva essere altrimenti dopo un gran bel sole, e questo, non so perché, ma mi rende felice. Prima di entrare nei vari paesi, ai bordi della strada, ho avuto anche la fortuna di vedere diverse lucciole (maschietti non fare gli spiritosi…) che da tempo immemorabile non vedevo. Brave, fatemi un po’ di compagnia anche voi che qui inizia a farsi tosta ed i podisti sono abbastanza diradati.

 

Oltre ovviamente ai ristori, i passaggi nei vari paesi sono gli unici contatti con la gente, che nonostante l’orario non più “amico”, si dimostra sempre abbastanza numerosa ed assolutamente incoraggiante e stimolante. Ne avevo proprio bisogno, attorno al km. 70 una piccola crisi ha fatto capolino nel fisico e qualche positività esterna ha contribuito a superarla.

 

Nella mia non lunghissima carriera podistica ho partecipato ad un buon numero di competizioni, però scopri che c’è sempre qualcosa di nuovo: ho visto dei cartelli di segnalazione che voi umani non potete immaginare….”60” , “70” , “80” , “90” !!!

 

Durante il lento susseguirsi dei chilometri percorsi ti accorgi che il tuo procedere verso l’arrivo è tutto un delicato equilibrio di gambe, cuore, testa e…pazienza; serve che queste componenti siano davvero tutte a posto per evitare che la questione si faccia complicata.

 

Sarà il buio, sarà la stanchezza che inevitabilmente inizia a farsi sentire, ma i km dal 70 al 90 non li ricordo proprio nitidamente, tipo Fantozzi quando vede apparire S. Pietro sulla traversa…Per fortuna ci sono le persone ai ristori (è stupendo sentire il cambiamento d’accento mano a mano che si passa da una regione all’altra), amici in auto che non pensavi di incontrare che dispensano incoraggiamenti e pacche sulla spalle, qualche podista con cui scambiare 4,8,16 chiacchiere ed è veramente buffo come con alcuni di loro ci siamo superati e ri-superati un numero imprecisato di volte solo in funzione di chi riusciva a camminare meno o a correre per 1km intero attorno a 6/7min/km…Il Passatore è anche questo ed è bello così.

 

Piano piano, e giuro che non è un modo di dire, il traguardo si avvicina, il buio pesto diventa sempre meno, aumenta in me la consapevolezza di avercela fatta, è solo questione di tempo, ma anche a gattoni ci arrivo in piazza a Faenza.

 

Piano piano il traguardo si avvicina e le segnalazioni dei km a bordo strada non sono più ogni 5km, ma ogni km, come un poetico conto alla rovescia verso l’importante arrivo; già al cartello “99” gli occhi sono parecchio bagnati, scappa qualche orgoglioso sorriso, stringo i pugni per darmi l’ultima carica e dirmi “bravo Massimo”, sento le voci della piazza in lontananza, incontro qualche podista già cambiato e medagliato che mi incita e mi dice “ci sei, sei un Passatore”, si, diamine (so che il Pres non vorrebbe che scrivessi parolacce…) lo sono!

 

Vedo le transenne, vedo l’arco di arrivo, sento la gente che nel cuore della notte ha ancora voglia di regalarmi un applauso, non vedo chi avrei voluto vedere, ma è una cosa mia, dedico un pensiero a chi non c’è più, ma che so sarebbe stato orgoglioso di me, vedo chi avrei voluto fosse stato insieme a me per tutti e 100 i km, ma che ringrazio per esserci stato sempre.

 

Attraverso il traguardo, forse grido qualcosa, ma sinceramente non me lo ricordo, e sono felice; non mi sembra vero di esserci riuscito, non mi sembra vero di guardarmi indietro, vedere il traguardo appena oltrepassato nella piazza di Faenza e pensare “cacchio, sono partito ieri pomeriggio da Firenze!”. Ritiro una medaglia che mi riempie di gioia ed orgoglio, e mi siedo, perché il calo di adrenalina mi ha fatto ricordare quanto fossi stanco.

 

Il Passatore non e’ solo quel pomeriggio, quella sera, quella notte, quell’alba intravista nel viaggio di rientro a Bologna, ma e’ anche e forse soprattutto, i giorni successivi col fisico provato ed il ‎sorriso ebete e pieno di orgoglio, il primo giorno al lavoro con il passo incerto (ma nemmeno troppo), la prima volta “alla tenda della Saragozza” con gli attestati di stima dagli amici della Polisportiva, le settimane successive a pianificare le prossime imprese podistiche con la carica data dall’averne già compiuta una notevole. Forse Il Passatore resterà dentro per sempre, non so, ve lo saprò dire più avanti.

 

Stefano “Il Passatore” Pelloni, chissà, forse ci rivederemo.

 

 

 

       

Ma io ne ho fatti centouno!

 

Per raccontare una maratona, o un’altra gara podistica, si inizia quasi sempre dalle sensazioni che precedono lo sparo del via e poi si prosegue con la cronaca sportiva ed agonistica.

 

Per raccontare il Passatore bisogna invece evitare con cura di sciorinare i tempi dei passaggi, le medie, le tabelle, i confronti con le edizioni passate. La gara è lunga, lunghissima e la cronaca potrebbe diventare … mortale!

 

Ma almeno una data e un’ora ci vogliono, ecco, è il 30 maggio 2015. Sono arrivato in treno alle 10:20, scendendo alla stazione di Rifredi,  poi col bus e a piedi mi dirigo verso il centro della città, senza fretta, facendo un po’ il turista e un po’ … l’umarell.

 

Infatti, per ammirare i palazzi storici e gli scorci dei giardini interni, devo per forza stare attento anche agli infiniti cantieri che stanno sconvolgendo Firenze per la realizzazione di due nuove linee di tram.

 

Così, dopo una mezz’ora di zig-zag urbano, nei pressi della Fortezza da Basso, imbocco una strada che, secondo i miei calcoli, va verso il centro, dove è allestito il centro servizi della manifestazione.

 

Potrei sceglierne almeno un’altra decina, di strade per il centro, ma quella evidentemente mi “chiama”. Che emozione leggere l’insegna e capire che si tratta di “Via Faenza”: un nome, una strada, una meta!

 

Sono sul percorso ideale del Passatore senza ancora essere partito!

 

Ecco il mio personalissimo centounesimo chilometro!

 

Ma le sorprese non sono ancora finite. A circa metà della strada, noto un grande portone aperto e, sulla soglia, una signora in divisa da usciere. Incuriosito, butto l’occhio dentro al portone e scorgo in lontananza i colori tipici di un affresco rinascimentale. E’ fatta, non posso resistere, devo entrare!

 

Si tratta di un piccolo museo (gratuito!) allestito nel refettorio dell’antico convento delle Monache di Foligno, dove è presente un grande affresco del Quattrocento, attribuito al Perugino, raffigurante l’Ultima Cena. Nella stessa sala che ospita il Cenacolo, sono raccolti anche numerosi quadri risalenti allo stesso periodo, oltre ad uno bellissimo Crocifisso ligneo.

 

A questo punto ho già “fatto giornata”: sto bene, c’è il sole, sono di nuovo a Firenze (città che ho sempre amato e nella quale ho vissuto un anno durante il periodo militare) e ho appena scoperto un nuovo capolavoro. Con tutti questi “crediti” parto già vincitore, non posso più perdere, non posso più avere paura di questi mitici 100 chilometri, il mio primo Passatore!

 

Così ben determinato svolgo le veloci formalità di ritiro del pettorale, mi alimento e cerco lo “spogliatoio” che in effetti è un piccolo gazebo, rigorosamente uni-sex, con deliziose finestrelle di plastica trasparenti sulle 4 pareti, molto comode per proteggere la privacy!

 

Ma tutto quanto qui intorno, poco, molto poco, ha a che vedere con la privacy e il rispetto dei luoghi in cui ci troviamo, essendo tutti noi bivaccati ovunque sotto i portici e nei marciapiedi attigui a Piazza della Repubblica. E duemilacinquecento bivaccati ne occupano di spazio!

 

Inizio la routine pre-gara, controllo l’abbigliamento, il materiale e gli alimenti che porterò con me. Mentalmente mi scansiono da capo a piedi: cappello, “OK!”; frontale, “OK!”; maglietta, “OK!”, cerotti, “cerotti?”, … i “cerotti!!!!”. Mi sono dimenticati i cerotti, non ci posso credere! Io che vivo di check list (ne ho una per le corse su strada, una per i trail, una per i triathlon) riesco a dimenticare una cosa così fondamentale! Mi crolla il mondo addosso, non faccio nemmeno una mezza maratona senza i cerotti di protezione per i capezzoli, figuriamoci come faccio ad arrivare a Faenza! Panico. No! Niente panico! “Fabio, è un mezzogiorno di un sabato in una grande città, ci sarà pure una farmacia aperta!” Culo, questo è culo, è proprio lì, all’angolo della piazza! E c’è la fila, sono tutti i podisti vittime delle check-list. E chiedono di tutto: vaselina (io ce l’ho); crema solare (ce l’ho), salviettine rinfrescanti (ce l’ho), benda elastica (ce l’ho). E’ il mio turno, “tre euro e sessanta”, sono salvo!

 

Ora sono a posto, che lo spettacolo inizi!

 

Alle 15:00 scocca l’ora della partenza che avviene al passo, poi ci si mette a corricchiare e subito dopo di nuovo al passo: cos’è successo? Siamo giunti in Piazza Duomo ed è naturale il rallentamento necessario per “bucare” quell’umanità variopinta e sorda, che non si è accorta di quel colpo di pistola appena sparato, tutta presa dai selfie di gruppo, da scattare proprio dove dobbiamo passare noi. Ma io, ma noi tutti, rallentiamo per forza, ci manca già il respiro, ci gira la testa: come se non fossero bastate via Calzaiuoli, le altre eleganti vie del centro e la struttura massiccia e armoniosa di Orsanmichele, ora Firenze cala l’asso di briscola – Battistero, Duomo, Campanile, Cupolone – come fare a negare che questa sia “la corsa più bella del mondo”?

 

Rimaniamo intruppati, non si può andare veloci, così ho modo di ripetere e metabolizzare i consigli di tanti veterani: cammina in salita, corri quando puoi e rallenta, sempre! Conta la disciplina del passo, del respiro, dell’idratazione e dell’alimentazione ma soprattutto il divertimento che provi in quello che stai facendo. E quello che sto facendo non è una gara.

 

Non è una gara contro il tempo, contro altri corridori; per me è un viaggio, una transumanza, un andare a piedi “da … a…”.

 

Non è una gara: avete mai visto un maratoneta che scrive SMS mentre corre? O che, sempre col cellulare,  saluta la nipotina? Questo al Passatore succede!

 

Non è una gara, e c’è chi ne fa anche un pellegrinaggio, come don Luca Ravaglia, che ogni anno al Passatore unisce lo sport e la spiritualità dei luoghi che incontra sul percorso (http://www.100kmdelpassatore.it/?p=4919 ).

 

Non è una gara, non con tutta l’improvvisazione che noto: scarpe nuovissime, ancora col cartellino del prezzo e zaini enormi, più adatti a un trekking himalayano che a una corsa che fa dell’assistenza capillare uno dei suoi punti di forza (3 punti intermedi con zona cambio, 21 ristori, 20 punti dotati di ambulanza, 12 con posto medico fisso, 10 con il servizio massaggi).

 

Non è una gara. Come si fa a correre per 10-15 ore indossando solo maglietta e pantaloncini ma con il cellulare in mano? Si vede che il resto glielo fornirà l’assistenza personale e il cellulare serve per sincronizzare il proprio passaggio con la posizione del gruppo di supporto.

 

E già, l’assistenza. Questa cosa a me non piace, ma visto che questa non è una gara (dove sarebbe vietata, ovviamente) allora va bene anche il bravo gruppo al seguito, che all’occorrenza soccorre, sprona, consiglia, rifocilla, idrata, cambia maglie e calzini, massaggia, asciuga, tampona.

 

Credo che il Passatore sia veicolo di tanto immaginario non solo per quel numero magico e “impossibile”, centochilometri, ma anche per il coinvolgimento di amici, parenti e famiglie. Perché anch’essi fanno la loro bella fatica! I ciclisti alla fine stanno in sella molte più ore di quelle a cui sono abituati, e la salita c’è anche per loro! Molti li ho visti spingere a mano nei punti più ripidi. E mogli/mariti/figli in macchina devono sfidare code, intasamenti ai passi, mancanza di parcheggi e vigili inflessibili, per poi essere pronti, con la sincronia degna di un pit-stop ferrarista, nei servizi al parente podista.

 

Mi sono preparato una tabellina per i primi 32 Km, fino a Borgo S. Lorenzo, perché è la parte con più variabili da gestire: il caldo, i diversi cambi di pendenza e perché il primo terzo di corsa è quello che può dare le giuste indicazioni sullo stato delle gambe, del fiato e della capacità di concentrazione.

 

Rispettata perfettamente la tabellina iniziale, il resto del percorso lo voglio correre molto a sentimento.

 

Fino al valico della Colla la gara è simile alle altre maratone e ultramaratone a cui ho partecipato: è giorno, si sale e si scende con bella variabilità, si vedono panorami bellissimi e c’è gente, tanta gente. Innanzitutto i concorrenti intorno a te ma c’è anche la festa degli spettatori.

 

Poi c’è tanta salita, come piace a me! Nel tratto più temuto, i dieci Km tra Ronta e il passo, nessuno osa correre, tutti sono al passo. Ed io, di passo, vado bene e mi prendo anche un po’ di soddisfazioni sportive, recuperando più di 200 posizioni.

 

Quasi in cima alla Colla raggiungo Francesco e Loris, anche loro della Pol. Porta Saragozza. Dopo i preparativi e le foto pre-gara, sarà l’ultimo momento “di gruppo”. Saliamo per un po’ insieme ma ci separiamo presto durante le operazioni di cambio, dove io me la prendo comoda (molto comoda), impiegandoci più di mezz’ora!

 

Riposato, con un cambio completo che mi fa sentire come se fossi appena partito e senza particolari segni di stanchezza, ora inizia la vera novità, come volevo che fosse e che non avevo mai vissuto: una lunga discesa a passo leggero, nel buio, in silenzio, tra i boschi e i suoi profumi. Non essendoci molto da vedere e da fare  la mente inizia a giocare e il profumo dell’erba, dell’acqua del torrente là più in basso, dell’aria stessa, sono i canali di relazione più intensi. Mi sento come il testimone del commissario Montalbano che, in un omonimo racconto, misura il tempo con “l’odore della notte”.

 

Anche se di concorrenti ce ne sono tanti, mi sento solo, non riconosco più nemmeno quelli che avevano corso di fianco a me nelle ore precedenti. Siamo tutti trasformati, irriconoscibili, con maglie e giacche diverse, con cappelli e scaldacollo, con le lucine rosse agganciate allo zaino per farsi notare da autisti e ciclisti, con la luce frontale che accende le strisce rifrangenti di scarpe, giacche e zaini, nascondendo i profili dei corridori e isolandoli ancora di più. E gli spettatori, spariti!

 

Per un paio d’ore circa, fino a Marradi (Km 65), tutto questo incanto funziona molto bene. Poi sopraggiunge un po’ di noia ma per una decina di chilometri resisto senza difficoltà. Dal km 76 all’88 ho un momento di appannamento, non posso dire di crisi. Sento meno stimoli e mi accorgo che il passo che avevo in salita sulla Colla era più veloce di quello che riesco a fare adesso. Allora decido che è meglio provare a correre.

 

Dopo dodici ore e dopo 90 kilometri mi accorgo che sono ancora in grado di correre, non certo velocemente, ma è pur sempre una corsa, continua, senza affanno e senza dolori muscolari. Mi tornano in mente tutti i resoconti che ho letto e che, immancabilmente, raccontano di battaglie epiche contro gambe legnose, articolazioni in fiamme e intestini in rivolta. Ed invece io sto bene, sto proprio bene, sto correndo e mi sto godendo la parte finale di questo viaggio.

 

Adesso vorrei che non finisse, taglio il traguardo, esulto, e vorrei continuare. So che potrei proseguire ancora. Ma il mio viaggio è finito, e anche qui c’è una sorpresa: l’arrivo è in Piazza del Popolo che prosegue in Piazza della Libertà e mi accorgo che quest’ultima assomiglia molto a Piazza Maggiore a Bologna. C’è un grande duomo, con la facciata grezza, proprio come ha San Petronio, la stessa scalinata di marmo bianco e anche la fontana sembra quella del Nettuno anche se la statua del dio del mare non c’è. Non so se sia la nostalgia di Bologna oppure la stanchezza di una notte in bianco ma credo sia proprio ora di tornare a casa!

 

[Fabio Cristofori, pettorale 1325, tempo finale 13:08:58]

 

 

 

 

                                                                        Massimo Benetti